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Cosa si intende per consenso informato?

Cosa si intende per consenso informato?

E’ ormai principi consolidato che il medico non possa più intervenire sul paziente senza averne prima ricevuto il consenso. Il consenso informato al trattamento sanitario è pertanto condizione senza la quale l’attività sanitaria non può considerarsi legittima.

Orbene, l’attività medica è prevalentemente l’oggetto di un rapporto contrattuale in cui il medico, per non incorrere in responsabilità, deve ottemperare a delle specifiche obbligazioni negoziali che sono essenzialmente due:

– acquisire il consenso del paziente avendolo preventivamente informato ai sensi degli artt. 35 e 33 del codice deontologico;

– eseguire una prestazione professionalmente corretta e diligente ai sensi degli artt. 1176 e 2236 del c.c.

Regola vuole, quindi, che ciascun paziente sia fornito di tutte le informazioni utili e necessarie perché possa scegliere consapevolmente.

Il dovere di acquisire il consenso informato da parte del medico sussiste non solo in relazione alla necessità di intraprendere interventi demolitivi e complessi ma anche in relazione ad ogni attività medica che possa comportare un qualsiasi margine di rischio. Il medico quindi ha il dovere di acquisire il consenso sia quando intende compiere attività chirurgica sia quando intende compiere semplici esami diagnostici e strumentali.

Eccezioni al criterio generale dell’acquisizione necessaria del consenso informato prima di un trattamento medico sono configurabili solo nel caso di trattamenti obbligatori ex lege, ovvero nel caso in cui il paziente non sia in condizioni di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e d’altra parte l’intervento medico risulta urgente ed indifferibile al fine di salvarlo dalla morte o da un grave pregiudizio alla salute

Ma quali sono i requisiti di validità del consenso informato?

Affinchè il consenso informato sia valido è necessario, in primo luogo, che sia manifestato in modo esplicito ed inequivocabile così che il sanitario prima di dare avvio a qualsiasi trattamento terapeutico possa chiaramente percepirlo.

Si precisa che il consenso può essere anche prestato oralmente. Infatti, la forma scritta viene richiesta solo nei casi espressamente richiesti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona.

Essendo però il consenso una condizione di liceità della prestazione medica, è bene sottolineare che il sanitario ha il dovere di accertare scrupolosamente ed attentamente la volontà dell’assistito, non essendo sufficiente una manifestazione di tacito assenso che potrebbe essere fonte di fraintendimenti.

Spesso negli ospedali esiste la pratica di far sottoscrivere appositi moduli al paziente in cui viene specificata e resa chiara l’attività medico-sanitaria che ci si accinge a compiere e in cui vengono indicate tutte le caratteristiche e gli eventuali rischi ad essa connesse; tale prassi è di certo condivisibile, purchè però non si riduca ad un mero atto di stile, burocratico e formale, senza che il paziente capisca davvero ciò a cui sta andando incontro. Infatti, a tal riguardo si fa notare che l’art. 33 del codice deontologico è molto chiaro sul punto: “ il medico dovrà comunicare che il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche”.

In altri termini la conformità della condotta dei sanitari rispetto all’obbligo di garantire un adeguato bagaglio di informazioni, deve essere valutata non tanto sul piano tecnico-operativo, quanto sulla natura dell’intervento, sull’esistenza di alternative praticabili, anche di tipo non cruento, sui rischi correlati e sulle possibili complicazioni delle possibili tipologie di cura tali da compromettere il quadro complessivo del paziente. Ciò significa anche che i requisiti di validità del consenso non sono soddisfatti quando le informazioni inerenti il tipo di trattamento medico e le sue implicazioni sono state nascoste o date in modo incompleto e quando vengono fornite assicurazioni sbagliate in ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da eseguire, visto che l’inadempimento contrattuale si estende anche alle informazioni non veritiere.

Il consenso deve essere necessariamente prestato dalla persona che verrà sottoposta a terapia e pertanto solo e soltanto dal paziente. Esistono tuttavia delle eccezioni a tale regola. Ad esempio nel caso di paziente minore di età, affetto da disturbo mentale o che versa in condizioni tali da non poter essere interpellato. Nel primo caso il consenso viene dato da chi esercita la paria potestà o dal tutore. Nel secondo caso, il medico può procedere alla terapia con il consenso del tutore. Nel terzo caso, ossia quando il paziente pur essendo un soggetto capace, versa in una situazione tale da non poter essere interpellato, il medico, prescindendo dalla volontà dei parenti, può agire purchè giustificato dallo stato di necessità ai sensi dell’art. 54 del codice penale.

Molto importante è la circostanza secondo la quale il consenso deve essere immune da vizi quali dolo, violenza ed errore. Non sarebbe ad esempio assolutamente valido un consenso prestato dal malato che sia stato ingannato come nel caso del medico che induca il paziente ad un intervento del tutto inutile prospettandogli falsamente immaginari pericoli per la salute. Oppure anche il caso in cui il sanitario, per sua colpa, genera confusione nel paziente non fornendogli le necessarie informazioni ed i necessari chiarimenti.

Prestare il consenso poi non significa prestarlo una tantum e solo  all’inizio della terapia: esso deve essere continuato, ossia richiesto e riformulato per ogni singolo atto terapeutico o diagnostico che sia in grado di cagionare autonomi rischi. Si pensi ad esempio ad un intervento di chirurgia estetica in cui l’operazione si estrinseca in varie fasi spesso cronologicamente distinte l’una dall’altra: per ognuna di esse infatti sarà necessario un costante aggiornamento ed un ripetuto consenso del paziente.

Quindi, ogni intervento terapeutico può considerarsi formato da tante piccole sottofasi, autonome e distinte, rispetto alle quali il consenso va rinnovato volta per volta.

Ma chi deve acquisire realmente il consenso informato?

Regola vuole che ad acquisire il consenso sia il sanitario che esegue personalmente l’attività medica.

Ma cosa accade quando al trattamento terapeutico partecipano più professionisti ?

In tal caso le soluzioni sono due:

  • quando l’intervento è di elevata difficoltà e a eseguirlo è un èquipe, dovrà provvedere il “sanitario responsabile” o “capo” di quest’ultima, in quanto dotato di poteri-doveri di coordinamento, direzione e sorveglianza;
  • quando, invece, l’intervento viene effettuato in ambito ospedaliero, o in strutture in cui si avvicendano nel rapporto con il paziente vari medici, l’obbligo di acquisizione del consenso, anche se rimane in capo al primario, può essere delegato ad altri medici, purchè sempre nel rispetto dell’ordine gerarchico della struttura in cui si opera.

Ma cosa succede se il medico che ha provveduto ad acquisire il consenso viene di fatto sostituito da un collega nell’intervento?

Orbene, nella realtà ospedaliera, il paziente che presta il consenso per un dato trattamento ad un certo sanitario, sa bene che lo stesso varrà implicitamente anche nei riguardi degli altri medici che si trovano ad operare in quella stessa struttura. Quindi in tal caso il paziente è comunque tutelato purchè però ad intervenire sia un medico dotato della stessa specializzazione e capacità di quello a cui aveva prestato il consenso.

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