In caso di separazione a chi vanno i figli

In caso di separazione o divorzio, la questione dell’affidamento dei figli è uno dei punti più delicati e importanti da trattare. La legge italiana pone come obiettivo principale il benessere dei minori, cercando di garantire loro il diritto di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Vediamo quindi insieme a chi vanno i figli in caso di separazione e le tre principali modalità di affidamento.
Affidamento Condiviso
L’affidamento condiviso è la modalità prevista di default dalla legge italiana (Legge n. 54/2006), che promuove l’idea che entrambi i genitori debbano avere un ruolo attivo nella vita dei figli, anche dopo la separazione.
Nel caso di affido condiviso, i genitori condividono la responsabilità educativa, affettiva e decisionale riguardo i figli.
Questo significa che tutte le decisioni importanti relative a salute, istruzione e vita quotidiana del minore devono essere prese congiuntamente.
Sebbene ci sia la condivisione delle responsabilità, i figli vivono solitamente con uno dei due genitori (detto genitore “collocatario”), mentre l’altro ha il diritto di visita e partecipazione alla vita del minore.
Le visite sono stabilite da un giudice o di comune accordo.
Il vantaggio di tale tipologia di affidamento è quello di favorire una relazione equilibrata e costante con entrambi i genitori, cercando di minimizzare l’impatto negativo della separazione sul minore.
Affidamento Esclusivo
L’affidamento esclusivo è un’opzione adottata quando il giudice ritiene che solo uno dei genitori sia in grado di occuparsi in maniera adeguata del minore.
Il minore viene affidato a un solo genitore, che avrà il pieno controllo sulle decisioni riguardanti la vita del figlio, salvo eccezioni in cui l’altro genitore è consultato per specifici aspetti.
L’altro genitore mantiene comunque il diritto di visita e deve continuare a contribuire economicamente.
L’affidamento esclusivo viene scelto quando l’altro genitore è considerato inadatto o incapace di provvedere ai bisogni del figlio.
Questo può succedere in casi di abuso, negligenza, incapacità educativa o situazioni simili.
La conseguenza è che il genitore affidatario ha maggiore autorità nelle decisioni, mentre l’altro ha meno potere e responsabilità, limitandosi spesso a visite e al contributo economico per il mantenimento.
Affidamento Superesclusivo
L’affidamento superesclusivo è una forma meno comune di affidamento esclusivo, applicata in situazioni estreme.
In questo caso, il genitore a cui viene affidato il figlio ha un controllo totale su ogni aspetto della vita del minore, senza dover consultare l’altro genitore per nessuna decisione.
Viene adottato in casi estremi, quando l’altro genitore è considerato completamente inadatto non solo alla cura quotidiana del figlio, ma anche alla partecipazione a qualsiasi decisione importante.
L’altro genitore potrebbe perdere del tutto il diritto di partecipare alla vita del figlio, anche a livello decisionale, e il suo ruolo potrebbe essere drasticamente limitato o inesistente.
Differenze principali tra le tre modalità di affidamento
- Affidamento condiviso: entrambi i genitori prendono decisioni congiunte e condividono le responsabilità.
- Esclusivo: uno dei due genitori ha il potere decisionale principale, mentre l’altro mantiene un ruolo marginale (visite, contributo economico).
- Affidamento superesclusivo: un genitore ha il controllo totale su tutte le decisioni, mentre l’altro genitore non ha alcuna influenza o diritto decisionale.
Criteri utilizzati dal giudice
Il giudice decide la modalità di affidamento basandosi su diversi fattori, tra cui:
Il benessere del minore, che è il principio guida.
La capacità dei genitori di cooperare e mantenere un rapporto civile nell’interesse del figlio.
La stabilità emotiva e psicologica dei genitori.
La presenza di eventuali situazioni di rischio o inadeguatezza (come abusi, negligenza, o incapacità genitoriale).
Come decide il Giudice
In caso di separazione è il Giudice a decidere a chi vanno i figli e prende questa decisione in due modi:
Accordo tra i genitori: Se i genitori raggiungono un accordo sulla gestione dei figli, il giudice solitamente approva l’accordo se ritiene che rispetti gli interessi dei minori.
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Intervento del giudice: Se i genitori non riescono a trovare un’intesa, sarà il giudice a stabilire:
- Dove i figli vivranno prevalentemente.
- Le modalità di visita dell’altro genitore.
- L’ammontare dell’assegno di mantenimento.
Generalmente la decisione del Giudice avviene nel corso o all’esito della procuedura contenziosa di separazione giudiziale.
Ascolto del minore
Un altro elemento molto importante per stabilire in caso di separazione a chi vanno i figli, è sicuramente l’scolto del minore.
L’ascolto del minore nelle procedure di separazione o divorzio è un elemento importante, poiché la legge italiana riconosce il diritto del bambino ad esprimere la propria opinione quando si prendono decisioni che riguardano il suo futuro.
Quando il minore può essere ascoltato?
Secondo l’articolo 336-bis del Codice Civile italiano e in linea con la Convenzione sui diritti del fanciullo (ONU 1989), il giudice deve ascoltare il minore se ha compiuto 12 anni o se, anche se più giovane, è considerato capace di discernimento, cioè in grado di esprimere una propria opinione consapevole e ragionata.
Questo non significa che la sua volontà sia determinante, ma rappresenta un elemento di valutazione.
Scopo dell’ascolto
L’ascolto del minore ha lo scopo di capire i suoi desideri, bisogni ed eventuali preoccupazioni riguardo alle decisioni su:
Affidamento (con quale genitore desidera vivere).
Regime di visite (quanto tempo vuole passare con ciascun genitore).
Aspetti rilevanti come la scuola, le relazioni familiari o il suo ambiente di vita.
Il giudice utilizza queste informazioni per prendere una decisione che rispetti il più possibile l’interesse del minore.
Modalità di ascolto
In forma protetta: L’ascolto avviene in un ambiente il più possibile sereno e non formale, per non mettere sotto pressione il minore.
Il colloquio può svolgersi in presenza di figure specializzate come psicologi o assistenti sociali.
Intervento del giudice o di un esperto: Il giudice può ascoltare personalmente il minore o delegare il compito a un esperto, come un assistente sociale, psicologo o consulente tecnico d’ufficio (CTU), che relaziona il giudice.
Cosa succede se il minore non vuole essere ascoltato?
Il minore può decidere di non voler essere ascoltato, e in tal caso il giudice generalmente rispetta la sua scelta, valutando il contesto.
Se ci sono segnalazioni di maltrattamenti o situazioni di disagio, il giudice può comunque decidere di procedere a un ascolto delicato, utilizzando metodi adeguati per il suo benessere.
Quanto pesa la sua opinione?
L’opinione del minore non è vincolante per il giudice. Quest’ultimo la considera all’interno di una valutazione complessiva, insieme agli altri fattori:
- Capacità genitoriale dei due genitori.
- Benessere psicofisico del minore.
- Stabilità dell’ambiente familiare.
Ad esempio, se un minore di 12 anni o più esprime il desiderio di vivere con un genitore, ma ci sono prove che quell’ambiente non è il migliore per il suo sviluppo (a causa di problemi come violenza, negligenza o conflitti tra i genitori), il giudice potrebbe non seguire il suo desiderio.
Esclusione dell’ascolto
L’ascolto può essere evitato se è chiaramente contrario all’interesse del minore.
Questo può avvenire, ad esempio, se il bambino è troppo piccolo per capire la situazione o se ci sono preoccupazioni che l’ascolto possa causare traumi emotivi.